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L'accapigliatura Ghisleri - Carducci e le origini del "Cuore" Deamicisiano

Spallicci, Aldo

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Descrizione Con lettere inedite di Giosuè Carducci e appendice bibliografica. A cura di un gruppo di amici di Arcangelo Ghisleri nel centenario della sua nascita. Volume cartonato rigido di 125 pagine, alcune illustrazioni in bianco e nero fuori testo. Esemplare in buone condizioni.

Categoria: Letteratura

Parole chiave: Giosue Carducci Poeta Vate Letteratura Italiana Poesia Dell'ottocento Carducci , Giosue. - Poeta italiano (Val di Castello , nella Versilia , 1835 - Bologna 1907). Crebbe ''selvatico'' nella Maremma toscana , dove il padre , Michele , un liberale già carbonaro , era medico condotto. Andò poi a Firenze e a Pisa , dove si laureò nel 1856. Di questo stesso anno è la polemica antiromantica , d'impostazione moralistico-nazionalistica , degli Amici pedanti; dell'anno seguente l'insegnamento nel ginnasio di San Miniato e la pubblicazione , colà , del primo volumetto di Rime. Oltre che alla poesia , il C. lavorò assiduamente in questi anni a pubblicare testi per la collezione ''Diamante'' dell'editore G. Barbera , alcuni con bellissime prefazioni. Nel 1859 sposò la parente Elvira Menicucci , da cui ebbe quattro figli: Bice , Laura , Libertà (Titti) e Dante. Nel 1860 il ministro T. Mamiani lo nominò , con felice intuizione , prof. di letteratura italiana all'univ. di Bologna , cattedra che tenne fino al 1903. A Bologna si configura pienamente la personalità del C.: zelantissimo insegnante , dotto erudito , geniale critico e storico e insieme poeta dei maggiori che l'Italia abbia avuto. La sua fama , dapprima alquanto ristretta e collegata anche al suo fiero anticlericalismo e alla sua impetuosa avversione al governo dei moderati , si andò via via consolidando: a partire dai primi anni dopo il 1870 , cioè dalle Primavere elleniche e da un volumetto di Nuove poesie (del 1873) , cioè da quando raggiunse la maturità dell'arte , la fama diventò gloria , sempre più piena e incontrastata. Senatore nel 1890 , socio corrispondente (1887) e poi nazionale (1897) dei Lincei , ebbe nel 1906 il premio Nobel per la letteratura. Nel pubblicare la raccolta delle sue poesie , egli assegnò loro come termini estremi le date 1850-1900 , e le ordinò così: Juvenilia (1850-60); Levia Gravia (1861-71); A Satana; Giambi ed epodi (1867-79); Intermezzo; Rime nuove (1861-87); Odi barbare; Rime e ritmi; Della ''Canzone di Legnano'' parte I. Appare chiaro anche da questo ordinamento il disegno che il C. autocritico faceva della storia della sua poesia: a un periodo di preparazione , in cui , come scrisse egli stesso , fa lo ''scudiero dei classici'' , cioè fa la mano al mestiere letterario imitando (Juvenilia) , o comincia a dar ''colpi di lancia'' ma ancora ''incerti e consuetudinarî'' (Levia Gravia) , seguirebbero una prima decisa presa di posizione personale , con A Satana , e quindi il periodo in cui il cavaliere-poeta corre ''le avventure a suo rischio e pericolo'' , nei Giambi ed epodi , poesie di aspre invettive politico-morali contro la ''vigliaccheria'' dell'Italia nuova , che avrebbe , secondo il C. , rinnegato la tradizione eroica del Risorgimento. Poi l'ira si placa a poco a poco , sino al Canto dell'amore per tutte le creature , che il C. pose appunto a conclusione dei Giambi , sebbene composto più tardi. L'Intermezzo segnerebbe il passaggio dalla poesia giambica ad altra e più vera poesia , testimoniata dalle ultime tre raccolte. La costruzione autocritica è divenuta tradizionale e può essere accettata , solo che s'interpreti come storia ideale e non cronologica: A Satana è del 1863 , assai anteriore alla fase giambica; questa , in realtà , si restringe agli anni 1867-72 e ha sostanzialmente la sua fonte psicologica nelle reazioni del C. agli eventi della Questione romana , dalla delusione di Mentana alla non gloriosa occupazione della capitale. D'altra parte , alcune delle Rime nuove , e tra le più belle , sono contemporanee ai più furiosi dei Giambi. Il fatto è che gli anni 1870-72 sono di crisi profonda , dalla quale il C. esce rinnovato. Forse la morte quasi contemporanea (1870) della madre e del figlioletto Dante ammonisce il C. a non sopravvalutare avvenimenti terreni anche grandi , ma di cui la meditazione sulla morte sofferta nel proprio sangue svela la sostanziale meschinità. Probabilmente non causa , ma effetto del mutato stato d'animo del C. è la passione turbinosa per Carolina Cristofori Piva (Lina o Lidia della poesia): cominciata nel 1871 , divampata nel 1872 , essa continuò veementissima nei due o tre anni successivi , poi declinò sino alla morte di Lina (1881). Il C. aveva eletto il disprezzo per i contemporanei a legge del suo agire e del suo poetare; amava passare per selvaggio e intrattabile , e poi soffriva di tutto ciò. Lina riesce a sciogliere il groppo , a vincere la solitudine; il poeta è tutto preso dalla dolcezza che gli dà la sensazione non solo d'esser amato , ma d'aver conquistato la facoltà d'amare. Le Rime nuove inaugurano la stagione della lirica ''greca'': una poesia concreta , quale egli aveva sempre sognato , e in nome della quale aveva combattuto lo sfocato sentimentaleggiare dei romantici , e tuttavia non banale; realista , ma lavorata con la pazienza e la sapienza dei classici e della tradizione rinascimentale italiana , che il Romanticismo sembrava aver interrotto. Ma al di là della sua polemica antiromantica , spesso in verità non bene edotta della reale essenza del Romanticismo , il C. ha alcuni atteggiamenti spirituali schiettamente romantici , e taluno persino decadentistico. Romantica è soprattutto la sua stessa esigenza di concretezza , che trova nella poesia storica la sua conciliazione con l'altra esigenza d'un tono poetico alto e sostenuto , anche per l'impiego della nuova metrica ''barbara'' da lui stesso elaborata. Si ha così l'epica , insieme solenne e nervosa , che domina Odi barbare (1877-1889) e Rime e ritmi (1898) , in quel molto di valido che anche queste raccolte contengono. Le quali poi son anche perfuse di eloquenza , nascente dalla passione , tutta propria del C. , di ammonire , educare , elevare: eloquenza intima che è una sola cosa con la poesia. Certo , accanto a essa c'è anche un'eloquenza deteriore , esterna; un indulgere alla rievocazione meramente erudita (la ''poesia da professore'') , una certa macchinosità scenografica , lontana eredità del Monti. Proprio questi aspetti deteriori del C. finirono col piacere a troppi: donde il distacco , tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento , dei raffinati , anche per il clima ormai decadentistico. n Della sua operosità di erudito restano , tra le cose più notevoli , le ediz. delle poesie volgari del Poliziano , delle Rime di M. Frescobaldi , delle Cantilene e ballate , strambotti e madrigali dei secc. 13º e 14º , delle Cacce in rima dei secc. 14º e 15º , delle Rime del Petrarca (con commento , in collab. con S. Ferrari , 1899). Come critico , si può dire che non ci sia campo della letteratura italiana che non abbia percorso e talvolta esplorato attentamente: ricordiamo i volumi sul Parini , gli studî sul Leopardi , Ariosto , Tasso , i discorsi su Dante , Petrarca e Boccaccio , e studî e discorsi su minori dei secc. 17º-18º. Anche se difetta di un pensiero organico e coerente , la sua critica è ricca d'intuizioni dell'anima e dei tempi dello scrittore studiato , felicissima nel rappresentare personaggi e ambienti , ricca di notazioni puntuali sulla parola e sulla tecnica letteraria , suggerite al C. dalla sua esperienza e dal suo gusto , le quali approdano alla definizione di valori estetici assai più spesso di quel che il C. stesso non pensasse. Piena di colore (anche al di fuori delle polemiche , ch'ebbe numerose e talvolta intemperanti , come la Rapisardiana) è sempre la prosa del C.: nervosa , tagliente , succosa , mobilissima , sapiente impasto di alta letteratura e di parlata Viva Edmondo De Amicis Ottocento novecento

Edito da: Stabilimento Grafico Impronta (Torino) anno 1956

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